domingo, 15 de septiembre de 2013

ITALIA NUCLEAR

De Salvatore Puledda (1943 -2001): UN COMPROMISO ÉTICO PARA LOS CIENTÍFICOS Conferencia Preliminar de Científicos por “Un Mundo sin Guerras” - International House University of California at Berkeley, EE.UU., 3 de octubre de 1996.


Después de terminar la universidad y de haber regresado nuevamente a Italia, fui reclutado en la Fuerza Aérea como oficial de complemento. Como se acostumbra para con los graduados de las disciplinas científicas, fui enviado a los servicios técnicos y, después de terminar un curso, pasé a ser teniente de radar-misiles. Se me envió a una base de la OTAN en el norte de Italia. Era una caverna gigantesca excavada en una montaña, donde una gran pantalla larga cuanto la caverna mostraba todo el cielo europeo, desde los Urales hasta el Atlántico. Cualquier aeroplano que despegara dentro del espacio de los países del Pacto de Varsovia era interceptado y seguido por los radares. Si luego cruzaba una cierta línea a una cierta velocidad y no respondía a las señales de identificación que se le enviaban, se lo consideraba un avión enemigo. Entonces, una computadora —una de las primeras computadoras— calculaba su ruta en base a los datos de los radares e inmediatamente le apuntaba un misil que, según el caso, podía ser convencional o nuclear. Eran épocas de considerable tensión entre el Occidente y la URSS y, fuera de la base se daban constantes demostraciones pacifistas contra el uso de armas nucleares. Ante estas demostraciones, la aviación militar italiana siempre respondía con comunicados de prensa que insistían que las bases de la OTAN en Italia no tenían misiles nucleares. En una de esas ocasiones, notando mi desconcierto, el coronel que comandaba mi unidad, que era un físico, me dijo: “Teniente, en estos asuntos, uno nunca puede decir la verdad”.



En ese momento mi educación en el campo de las armas y la guerra estaba practicamente completa. Había aprendido los elementos fundamentales: el primero, que uno puede ser un gran científico y a la vez un enano, o quizás hasta un criminal, desde el punto de vista moral; el segundo, que todo lo que se relaciona con las armas y la guerra está cubierto por una montaña de mentiras y, por último, el más importante: que las guerras no son un fenómeno “natural” e inevitable sino el resultado de elecciones hechas por seres humanos concretos; de elecciones hechas por tantos científicos y técnicos que no han dicho NO ante el uso destrucivo de sus descubrimientos y de sus conocimientos; de elecciones hechas por políticos, militares, industriales que han enmascarado o tergiversado la verdad acerca de la guerra y de las armas, que han encubierto sus ambiciones, sus deseos de poder y dinero con palabras tales como “patria”, “dios”, “libertad”, “cultura”, “civilización”, “nuestros valores”, etc



Salvatore Puledda: UN COMPROMISO ÉTICO PARA LOS CIENTÍFICOS Conferencia Preliminar de Científicos por “Un Mundo sin Guerras” - International House University of California at Berkeley, USA, 3 de octubre de 1996.


http://it.wikipedia.org/wiki/Movimento_Umanista


http://es.scribd.com/doc/62757073/Salvatore-Puledda-Un-Humanista-Contemporaneo


Original en italiano:

UN IMPEGNO ETICO PER GLI SCIENZIATI

Salvatore Puledda 

Presentazione della campagna “Il 2000 Senza Guerre”
organizzata dall’Associazione “Un Mondo Senza Guerre”
Università della California, Berkeley, USA
3 ottobre 1996


Ringrazio l’International House dell’Università di Berkeley per aver ospitato questa presentazione della campagna “Il 2000 Senza Guerre” e tutti i presenti per la loro cortese attenzione.
Come ha detto la persona che mi ha presentato, la mia formazione accademica è di tipo scientifico: sono un chimico che lavora da parecchi anni ormai nel campo dell’igiene ambientale, e più precisamente nel campo del controllo dell’inquinamento atmosferico, in una delle grandi strutture della ricerca pubblica in Italia, l’Istituto Superiore di Sanità di Roma.
Debbo aggiungere, però, che in tutta la mia vita di ricercatore è stato sempre presente, accanto all’interesse per la vita di laboratorio, l’interesse per un tema –quello dell’uso sociale della scienza– che ci porta vicini alla preoccupazione centrale di questo incontro, che è quello della guerra e dei modi per porre finalmente termine ad essa nella storia dell’umanità.
La guerra si combatte con le armi e c’è sempre qualcuno che le armi le inventa, le progetta e le costruisce. Nell’era della tecnica, che è quella in cui ci è toccato vivere, quel qualcuno sono gli scienziati e i ricercatori: i fisici, i chimici, i biologi, gli ingegneri, ecc., che lavorano in qualche struttura di quei complessi militari-industriali che ormai tutti i paesi –e non solo quegli sviluppati– hanno costruito.
Anzi in quest’epoca, la ricerca scientifica e tecnologica e la ricerca militare vanno di pari passo. Negli ultimi decenni poi, come numerosi studi hanno dimostrato, sembra che sia la ricerca militare a trainare quella civile e che molta tecnologia e prodotti che entrano a far parte della nostra vita quotidiana non siano altro che “ricadute” di scoperte effettuate a fini bellici.
In questo senso, la responsabilità degli scienziati riguardo alla guerra e alle armi non è certo inferiore a quella dei politici e degli industriali che pianificano e finanziano la ricerca per scopi militari.
Purtroppo, però, la coscienza di queste responsabilità non è stata, e non è ancora, un patrimonio stabile della comunità scientifica internazionale. Se permettete, vorrei illustrare questo punto con un paio di episodi biografici, nel quale, credo, potranno riconoscersi molti della mia generazione che hanno avuto una formazione scientifica.
Nel 1969 ero studente di chimica qui all’Università della California, nel campus di San Diego. Era il tempo della guerra in Vietnam e nel campus c’era molta tensione e continue manifestazioni studentesche. Uno degli eventi accademici del semestre era un seminario tenuto da uno dei più geniali chimici dell’epoca, un premio Nobel che aveva aperto, grazie alle sue scoperte, nuovi campi di ricerca. Ma questo grande scienziato era anche un consulente dell’esercito americano per le applicazioni belliche dei defolianti che erano stati sviluppati proprio grazie alle sue ricerche. Come forse ricorderete, i defolianti sono delle sostanze che, se spruzzate dall’alto –per esempio da elicotteri– sono in grado di distruggere migliaia di ettari di foresta tropicale facendo cadere le foglie, e di procurare tremende piaghe sulla pelle di esseri umani e animali. A tutt’oggi, il disastro ecologico –per non parlare delle sofferenze umane– causato dall’uso dei defolianti nel Sud-Est asiatico non è stato rimarginato.
Vari studenti chiesero al grande scienziato che cosa pensasse dell’uso bellico delle sue scoperte e come potesse moralmente accettare di portare avanti delle ricerche per il miglioramento dell’efficienza di un’arma tremenda come i defolianti. Il grande scienziato rispose che le guerre erano sempre esistite, che l’uso delle sue scoperte non era affar suo, e che egli aveva bisogno di finanziamenti per portare avanti le sue ricerche. La scienza doveva progredire ad ogni costo, per cui lui non sentiva di aver problemi morali.
Terminata l’università e tornato in Italia, fui arruolato come ufficiale di complemento nell’Aeronautica Militare. Come d’uso tra i laureati in discipline scientifiche, fui inviato ai servizi tecnici e, dopo un corso, divenni tenente radarista-missilista. Fui inviato in una base NATO nel Nord d’Italia. Era una caverna gigantesca, scavata dentro un monte, dove, su un grande schermo che prendeva tutta la lunghezza della caverna, appariva l’intero cielo dell’Europa, dagli Urali all’Atlantico. Qualunque aereo che fosse decollato nello spazio dei paesi del Patto di Varsavia veniva intercettato dai radar e seguito; se poi passava una certa linea ad una certa velocità, e non rispondeva ai segnali di identificazione inviatigli, veniva considerato nemico: un computer –uno dei primi computer– calcolava la rotta sulla base dei dati radar ed immediatamente puntava un missile, che, a seconda dei casi, poteva essere convenzionale o nucleare. Eravamo in un periodo di grandi tensioni tra l’Occidente e l’URSS e, al di fuori della base, c’erano continuamente manifestazioni pacifiste contro l’uso di armi nucleari. A queste, l’aeronautica militare italiana rispondeva sempre con comunicati stampa nei quali si affermava che nelle basi Nato in Italia non esistevano missili nucleari. In una di quelle occasioni, notando il mio sconcerto, il colonnello comandante della mia unità, che era un fisico, mi disse: “Tenente, in queste cose non si può mai dire la verità.”
A quel punto, la mia educazione in questo campo era completa. Avevo imparato le cose fondamentali: la prima è che si può essere un grande scienziato, e nello stesso tempo un nano, o forse anche un criminale, da un punto di vista morale; la seconda è che tutto ciò che concerne le armi e la guerra è coperto da una montagna di menzogne; e, infine, la cosa più importante: che la guerra non è un fenomeno “naturale” ed inevitabile, ma la conseguenza di scelte fatte da esseri umani concreti, delle scelte fatte da tanti scienziati e tecnici che non hanno detto no all’uso distruttivo delle loro scoperte e delle loro conoscenze; delle scelte fatte dai tanti politici, o militari, o industriali che hanno nascosto o ribaltato la verità sulla guerra e sulle armi, che hanno coperto le loro ambizioni, il loro desiderio di potere o di denaro, con parole come “patria”, “dio”, “libertà”, “civiltà”, “i nostri valori”, ecc.
Dunque, attualmente, una grande responsabilità ricade sugli scienziati e sui tecnici. Se essi potessero dire no all’uso distruttivo della scienza, se si creasse un grande movimento contro le armi e la guerra, che partisse dalle università e dai centri di ricerca di tutto il mondo, i politici e i militari vedrebbero ristretto al massimo lo spazio per avventure belliche di qualunque tipo.
Ascoltando idee di questo genere, spesso ci succede di provare un momento di entusiasmo che è però subito seguito da un ritorno al modo di pensare di tutti i giorni: alla realtà brutale della violenza delle guerre lontane o vicine che la televisione porta quotidianamente nelle nostre case. E allora di nuovo ci diciamo che quella era una bella utopia, ma che la realtà è questa: la guerra è parte dell’umanità, non si può eliminare la guerra.
A questo punto vorrei ricordare le parole di quello che forse è stato il più grande scienziato della nostra epoca, Albert Eisntein, parole pronunciate nel 1948, al tempo in cui la possibilità di distruggere con una guerra nucleare ogni forma di vita sulla Terra apparve all’orizzonte della storia umana.
«...Noi, scienziati, il cui tragico destino è stato quello di rendere più orribili ed efficaci i metodi di annientamento, dobbiamo considerare come nostro solenne e superiore dovere fare tutto ciò che è in nostro potere per evitare che tali armamenti vengano utilizzati con lo scopo brutale per il quale furono inventati. Quale altro lavoro sarebbe più importante? Quale altro impegno sociale potrebbe essere più vicino al nostro cuore?
...Sfortunatamente, non ci sono indizi che mostrino che i governi siano consapevoli che la situazione nella quale si trova l’umanità ci obbliga a prendere una serie di provvedimenti rivoluzionari. La situazione presente non ha nulla in comune con quella di epoche passate, pertanto è impossibile utilizzare metodi e strumenti che in altri tempi si erano dimostrati sufficienti. Dobbiamo rivoluzionare il nostro modo di pensare, le nostre azioni e dobbiamo avere il coraggio di cambiare radicalmente anche i rapporti tra le nazioni. I cliché del passato oggi non bastano più e in futuro saranno senza dubbio obsoleti. Far sì che tutti gli esseri umani capiscano tutto ciò è la funzione sociale più importante e decisiva che noi intellettuali dobbiamo svolgere. Avremo il coraggio di superare i vincoli nazionalistici fino a convincere i cittadini di tutto il mondo a cambiare le loro più radicate tradizioni?»
Queste parole sono tratte dal messaggio che Albert Einstein voleva indirizzare alla Conferenza degli Intellettuali a favore della Pace nel 1948. Il comitato organizzatore gli impedì di farlo, per cui il messaggio fu pubblicato dalla stampa il 29 agosto di quell’anno.
A me sembra che è tempo di riprendere la strada tracciata da Einstein e più tardi da Sacharov, perché si sviluppi un’etica della scienza, un’etica secondo la quale la scienza non possa essere utilizzata per fini distruttivi, per fini bellici.
In effetti, la scienza è oggi attraversata da un’ambiguità che la tocca nella sua essenza più profonda. Da un lato essa può permettere, per la prima volta nella storia, la liberazione di gran parte degli esseri umani da quei mali, come la fame, la fatica, le malattie, che hanno accompagnato l’umanità in tutto il suo lungo cammino; dall’altro, essa si può trasformare forse in un male ancora più tremendo, dato che è ormai apparsa la possibilità di una catastrofe globale, o per una guerra nucleare o per un collasso a livello ecologico.
Ma è nel cosiddetto Terzo Mondo, nei paesi che eufemisticamente vengono detti in via di sviluppo, e dove vive l’ottanta per cento dell’umanità, che questa ambiguità essenziale della Scienza attuale viene vissuta quotidianamente nella forma più drammatica. È noto che la maggior parte dei paesi africani a sud del Sahara, per esempio, dedicano alla spesa bellica la metà del loro prodotto interno lordo (che include gli aiuti da parte dei paesi ricchi). Ma dove vengono acquistate queste armi? Nel Primo Mondo naturalmente. Esistono supermarket delle armi. In Europa abbiamo lo scandalo annuale della Fiera Internazionale degli Armamenti che si tiene alternativamente a Parigi e a Londra. Lì convergono a fare shopping le alte caste militari soprattutto dal Terzo Mondo, e come in un supermercato, c’è un’ala dedicata ai sistemi di puntamento, un’altra alle bombe intelligenti, un’altra ai carri armati, agli elicotteri da combattimento, agli aerei e così via. Con prezzi competitivi, ribassi per chi acquista di più, coupon, etc. Un carro armato costa milioni di dollari, quando con quegli stessi soldi sarebbe possibile acquistare su larga scala le medicine per sradicare la malaria o le malattie infettive che costituiscono la prima causa di morte per quelle sfortunate popolazioni africane.
Che fare? Nell’ultimo atto di quella che è forse la sua opera più bella, “Vita di Galileo”, scritta in uno dei momenti di maggiore tensione tra l’Occidente e l’URSS, Bertold Brecht ci presenta il padre della Scienza occidentale, ormai vecchio e malato, che riflette sul significato e sul futuro delle sue scoperte con il suo giovane assistente, Sarti. Sarti sta per lasciare l’Italia, dove è ormai impossibile la ricerca scientifica a causa della condanna della Chiesa, portando con sé i manoscritti inediti delle scoperte di Galileo. La ricerca potrà continuare in Olanda e nel nord Europa dove le condizioni sono più favorevoli. Guardando nel futuro, Galileo vede nascere dal proprio lavoro una “progenie di nani inventivi”, pronti a vendersi al miglior offerente, disposti ad essere utilizzati per qualunque scopo dai ricchi e dai potenti. Ma questa progenie nasce dal suo stesso errore, dal suo stesso esempio. Se lui, Galileo, non avesse ceduto all’Inquisizione, se avesse detto no al potere, forse i suoi discepoli, dopo di lui, avrebbero fatto lo stesso. Forse la scienza si sarebbe sviluppata in un altro modo, forse sarebbe stato possibile creare per gli scienziati qualcosa di simile al “giuramento” che Ippocrate, all’alba della civiltà occidentale, creò per i medici: il giuramento di utilizzare la scienza a solo beneficio dell’umanità.
Uscendo dalla metafora che l’opera di Brecht propone, io credo che questo debba essere ormai il pilastro centrale di un’etica della scienza: l’utilizzo delle scoperte scientifiche a solo beneficio dell’umanità. Ma come sviluppare ed implementare questa etica? Mi pare che un grande sforzo da parte della comunità scientifica internazionale debba dirigersi verso la creazione di forme organizzative nuove ed originali per mettere in pratica quel principio fondamentale. Si potrà trattare di un giuramento solenne fatto da chiunque entri nel campo della ricerca, della creazione di comitati etici –analoghi a quelli di bioetica che già esistono nel campo genetico– in ciascuna università che denuncino e rigettino le ricerche a fini bellici, di comitati nazionali che agiscano a livello politico per combattere le lobby degli armamenti, ecc. Insomma uno sforzo creativo per costruire la Scienza Umana del terzo millennio.
Io ho finito, molte grazie per la vostra attenzione.

jueves, 29 de agosto de 2013

EL PH repudia la amenaza de ataque a Siria

Comunicado del Partido Humanista Internacional

28 de agosto de 2013

LA PAZ ES UNA CONSTRUCCIÓN COLECTIVA

Los humanistas repudiamos la amenaza de ataque a Siria por parte de la Organización del Tratado del Atlántico Norte (OTAN) a instancias de los Estados Unidos de Norteamérica. Es una actitud deleznable que se pretenda solucionar desde terceros Estados una confrontación política en el interior de otro país, y más aún cuando se intenta hacerlo bombardeando a su población.

La sola intromisión en los asuntos internos en un Estado soberano implica una violación de normas internacionales que se agrava al poner en peligro la vida de civiles y se torna irracional cuando se utiliza un poderío militar desmedido con ese fin.

No hay dudas de que los EE.UU. y el Reino Unido de Gran Bretaña han entregado armas a grupos mercenarios de distinto signo para derrocar al presidente de un gobierno que se les opone ideológicamente y que el pretexto para intervenir en forma directa -el uso de armas químicas- estuvo expuesto desde el comienzo de las hostilidades. Pasados dos años y medio y ante el escaso resultado obtenido por las fuerzas mercenarias, están utilizando el pretexto previsto y anunciado. Es un caso similar al de Irak, donde la intromisión causó un millón de muertos y la destrucción de la economía para apropiarse del petróleo iraquí. No hay que perder de vista, además, que las potencias que se disponen a agredir a Siria, son potencias nucleares, lo que pone en alto riesgo la paz mundial.

Denunciamos también la inoperancia de la Organización de las Naciones Unidas (ONU) para detener la intervención militar extranjera y marginarse cuando aún es posible buscar una salida pacífica a través de ese organismo o mediante la intervención de terceros países

Los humanistas repudiamos la intervención del país imperial y de sus cómplices, deploramos que no se recurra al aporte de los países amantes de la paz y hacemos un llamado a la cordura para que no se sumen nuevas víctimas a las decenas de miles de vidas sacrificadas.

Ha llegado la hora de parar el carro de la guerra y el crimen contra los pueblos. La humanidad a una sola voz debe gritar ¡BASTA YA! y levantarse mundialmente en una acción conjunta en todos los continentes con la Fuerza humanizadora de la No-violencia para derrotar la intimidación generalizada del imperialismo. Así lo hicieron Gandhi, Martin Luther King, Nelson Mandela, Desmond Tutu, Silo y un espíritu similar se insinúa ahora en la valiente actitud de los jóvenes Edward Snowden y Bradley Manning.

Una conciencia no violenta se está desarrollando en éste planeta interconectado, una conciencia que rechaza la violencia en todas las formas y que acabará instalándose cuando consiga que los gobiernos renuncien definitivamente a las guerras como medio de resolver conflictos, que se desmantelen los arsenales nucleares, se retiren las tropas extranjeras que ocupan territorios y se inicie un desarme progresivo y proporcional del armamento convencional.

Esa conciencia no violenta está en millones de personas en todo el planeta, pero es urgente que se fortalezca y canalice en un movimiento social organizado que se oponga a todas las formas de violencia y que revolucione este sistema deshumanizado y violento.

A todos los que en su interior sienten la necesidad de resistir a la violencia nos dirigimos para pedirles que se opongan a la barbarie anunciada y que se expresen sin temor: ¡No a la guerra! ¡Si a la paz!

Partido Humanista Internacional (Federación Mundial de Partidos Humanistas)

http://www.internationalhumanistparty.org/es/posicionamiento/los-humanistas-repudiamos-la-amenaza-de-ataque-a-siria

jueves, 8 de agosto de 2013

EL PINGÜINO PIO

Pinguino Pio

http://youtu.be/0zbzEWlJrcE


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Publicado el 07/08/2013


Te presentamos al Pingüino Pio!


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jueves, 4 de julio de 2013

EL PARTIDO HUMANISTA INTERNACIONAL REPUDIA EL ATROPELLO EUROPEO AL GOBIERNO DE BOLIVIA

                                                                                                PARTIDO HUMANISTA INTERNACIONAL
                                                                                            
                                                                                www.internationalhumanistparty.org

04 de julio de 2013

EL PARTIDO HUMANISTA INTERNACIONAL REPUDIA EL ATROPELLO EUROPEO AL GOBIERNO DE BOLIVIA


Ante el rebrote colonialista e imperialista de los países de la OTAN (dirigidos por EE.UU.) que bloquearon el vuelo del avión presidencial del gobierno boliviano, en el que viajaba el presidente Evo Morales Aymá, el Partido Humanista Internacional repudia ese atropello y se solidariza con el pueblo y el gobierno del Estado Plurinacional de Bolivia y su presidente Evo Morales.

El bloqueo al avión presidencial boliviano es parte de una serie de provocaciones a los países latinoamericanos y del Caribe. Se trata, como dijo Morales, de una agresión a América Latina. El intento de la policía británica para ingresar a la embajada de Ecuador en Londres y el intento de embargo a la fragata «Libertad» (nave escuela de la Marina argentina) son los antecedentes de estas provocaciones pergeñadas en EE.UU. y ejecutadas dócilmente por sus aliados de la OTAN.

Cualquier avión presidencial goza de inmunidad absoluta por derecho consuetudinario, receptado por la Convención de las Naciones Unidas sobre las inmunidades jurisdiccionales de los Estados y de sus bienes (año 2004) y el Tribunal de La Haya, por lo cual Bolivia denunció ante la Organización de Naciones Unidas (ONU) a España, Francia, Italia y Portugal, a los que acusó de haber violado “derechos fundamentales” de Morales.



Equipo Coordinador del Partido Humanista Internacional

sábado, 18 de mayo de 2013

LAS DENUNCIAS DE CORRUPCION

Transcribo aquí unos fragmentos del libro de Doménico Mantuano "Los negocios de Pedro - Vaticano: política, armas, poder" (L. D. Books - Editorial Lectorum, México D. F. octubre de 2009). En lenguaje claro, Mantuano pone el caso de Bettino Craxi, primer ministro de Italia, como un ejemplo de la metodología utilizada por los gobiernos de EE.UU. para desacreditar y forzar la destitución de quienes obstaculizan al imperialismo: "La metodología utilizada contra el dirigente italiano tenía el clásico sello de la CIA, modelo que gracias a los espías norteamericanos se popularizó en el mundo y hoy es un recurso habitual y corriente para sacar de carrera a hombres y mujeres «incómodos».”



Pág. 135 a 137, capítulo 7: Los brazos seculares:


“El 7 de octubre de 1985, el crucero italiano Achille Lauro, que realizaba la travesía entre Alejandría y Port Said, fue secuestrado por cuatro terroristas árabes, comandado por Abu Abbas, libre del Frente de Liberación Palestino. El crucero llevaba 480 personas a bordo y acababa de salir del puerto egipcio cuando fue tomado por los guerrilleros que pedían la liberación de 50 combatientes palestinos, presos en Israel.”


“Al frente del gobierno italiano estaba Bettino Craxi, quien llevó adelante la dura negociación con los secuestradores, que ya habían asesinado a un pasajero norteamericano. Luego de tres días de tensión extrema, Craxi logró que los terroristas abandonaran la nave a cambio de ser transportados hasta Palestina. Un avión del gobierno egipcio los trasladaría desde Alejandría a Italia.”


“Enterada del acuerdo, una flota de cazas norteamericanos e israelíes rodeó al avión, obligándolo a descender en la base militar de Sigonella, en Sicilia, base que Italia comparte con los Estados Unidos. Norteamericanos e israelíes pretendían capturar a los guerrilleros, rompiendo con el acuerdo alcanzado por Craxi.”


“A su vez, respetando puntualmente las órdenes del primer ministro, el comandante italiano rodeó con sus tropas a los soldados norteamericanos e israelíes impidiéndoles avanzar en sus propósitos.”


“Fernández Ardanaz recuerda que Craxi le había dicho al embajador norteamericano que en Italia mandan los italianos y cumplen los pactos. Dice el académico español:”


“«Durante aquella noche cargada de tensiones se sucedieron las llamadas telefónicas entre la Casa Blanca y la presidencia del gobierno italiano. Bettino Craxi resistió a las presiones y amenazas, hasta que le dejaron en paz. Y cuentan las crónicas que el argumento que utilizó Craxi fue precisamente revelar el secreto del caso Moro».”


“Efectivamente, Bettino Craxi había confrontado y ganado la pulseada con el gobierno de los Estados Unidos, pero al costo de su propia carrera política, su honor y su prestigio. Pocos meses después debió abandonar el gobierno, acorralado por denuncias de corrupción que lo dejaron al borde de las rejas. La metodología utilizada contra el dirigente italiano tenía el clásico sello de la CIA, modelo que gracias a los espías norteamericanos se popularizó en el mundo y hoy es un recurso habitual y corriente para sacar de carrera a hombres y mujeres «incómodos».”


“Craxi era uno de los más importantes líderes del Partido Socialista Italiano y había sido elegido primer ministro al frente de una coalición de cinco partidos, conformada por la Democracia Cristiana, el Partido Socialista Democrático, el Partido Republicano y el Partido Liberal, además, claro, del Partido Socialista, que lideraba la alianza.”


“La administración de Craxi, que se extendió desde 1984 hasta 1987 era una de las materializaciones más completas del compromesso storico que había pretendido suscribir e inaugurar Aldo Moro. Su gestión no solamente posibilitó el ingreso de Italia al G7, sino que firmó un nuevo Concordato con la Santa Sede, conocido como Acuerdo de Villa Madama.”


“Perseguido por la justicia italiana, manipulada por la CIA, la mafia y la P2, Bettino Craxi debió huir a Túnez, donde murió en el año 2000. Tras su deceso, el gobierno italiano decidió dispensarle un funeral de desagravio en su lejano exilio. Allí, Enrico Boselli, líder socialista dijo:”


“«Craxi ha sido mantenido fuera de Italia porque no se ha querido afrontar su caso. Su via crucis jurídico ha terminado con su muerte. Y ésta es una mancha que Italia tendrá para siempre. Hoy, aquí, esta Cámara reconoce el verdadero carácter político de Craxi.»”


“Como suele ocurrir, ya era tarde para todo.”


Pág. 135 a 137, capítulo 7: Los brazos seculares. NOTA: Bettino Craxi (1934 - 2000), político italiano y uno de los máximos exponentes del Partido Socialista Italiano (PSI). Fue Primer Ministro de Italia de 1983 a 1987 en la primera etapa del pentapartito italiano.


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“Los negocios, el poder y el anticomunismo como un emergente amalgamador fueron los tres elementos que a lo largo de casi todo el siglo XX unieron a los socios que hemos visto a lo largo de esta obra: religión, política y delincuencia.” Pág. 143, Epílogo.
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“Finalmente, como se sabe, la Unión Soviética cayó por el peso de sus propias contradicciones, sin que los brutales costos pagados por los países del subdesarrollo hayan colaborado en el derrumbe.”


“El Tercer Mundo acabó siendo una víctima perpleja de los fantasmas que rodearon a Washington y Moscú, y que desencadenaron la Guerra Fría. Cientos de miles de millones de dólares drenaron por la cloaca del armamentismo, el espionaje y la instauración de regímenes criminales, sólo para prevenir posibles desviaciones ideológicas o, en algunos casos, para mantener intactos modelos comerciales pergeñados en las urbes centrales. Modelos que acabaron mostrando el estado de putrefacción interna que los habitaban cuando, a mediados de 2007, dispararon la mayor crisis económico-financiera global de que se tenga memoria.” Pág. 70, capítulo 3: A Roma lo que es del César.
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 “La Iglesia no es Dios, ni Dios se expresa a través de una iglesia, sea ésta del signo que sea, y represente la fe que represente. Más allá de todas las posturas que a lo largo de la historia procuraron rebatirlo, Dios, según la forma que cada creencia quiera darle, seguirá siendo parte de la vida cotidiana de los seres humanos; no hace falta reglamento alguno. No hace falta brazo armado. No se requieren bancos ni descomunales respaldos financieros para que la fe y la verdad triunfen.” Pág. 149, Epílogo.

miércoles, 27 de febrero de 2013

La droga


«Me dicen que la gente joven en distintas latitudes está buscando falsas puertas para salir de la violencia y el sufrimiento interno. Busca la droga como solución. No busques falsas puertas para acabar con la violencia.»

Silo, 4 de mayo de 1969: La curación del sufrimiento, Punta de Vacas, Mendoza, Argentina.